Parklife

Vincera' sicuramente Taryn Simon, per la quale tifano piu' o meno tutti i miei amici che hanno visto i lavori shortlisted quest'anno al premio della Photographers' Gallery. A me pero' sono piaciute da pazzi le foto di Tod Papageorge, quasi settantenne fotografo newyorkese che ha passato la vita collezionando immagini di suoi concittadini che passeggiano per Central Park. O prendono il sole, leggono, si scambiano baci, pensano, fanno un giretto col cane.

C'e' chi dice che le sue foto mi piacciono tanto perche' sono vintage e ricordano gli anni '70, e probabilmente non ha tutti i torti. Pero' insomma a me questo fotografo che con lo spirito flaneur che molti anni prima aveva dato ispirazione a Brassai cattura attimi di intensa poesia quotidiana, minima, e quella poesia la va a cercare proprio dove le persone cercano un rifugio dalla frenesia a volte insopportabile che se vivete in una grande citta' conoscete anche troppo bene, ispira enorme simpatia.

Propri come i suoi soggetti: un uomo di colore spaparanzato nell'erba che gioca a scacchi da solo; una ragazza che prende il sole chiacchierando con la nonna che invece se ne sta al fresco, seduta all'ombra di un albero; un signore che pettina il figlio, in mezzo al nulla; un altro che sembra combattere contro un terrificante mal di testa; una coppia che si bacia appoggiata a un albero; e un'altra su una panchina, tra signori che leggono.

Scatti che rendono eterni momenti sostanzialmente comuni, normali, ricordi condivisibili. Realizzati in un bianco e nero naturale, non ritoccato in alcun modo, forse anche un po' scolorito, che contrasta con la perfezione digitale contemporanea esattamente come il vinile suona infinitamente piu' caldo rispetto a qualsiasi gelido file. Ecco cosa sono quelle di Papageorge, immagini che scaldano il cuore, nelle quali ritroviamo i momenti sereni nei quali ci lasciamo gli impegni alle spalle e cerchiamo un po' di tranquillita' nel verde, con un buon libro a tenerci compagnia.

E mi pare bello che qualcuno chiami una raccolta di quei momenti Passing through eden. Il paradiso, forse, e' una serie di piccole soleggiate parentesi.

[E Giovedi' alle 11.30 e alle 21 ne parliamo con lei a Zoe]

Commenti

Anonimo ha detto…
Tra 1968 e '71 Tod Papageorge prese anche parte alle registrazioni di "Escalator over the Hill" di Carla Bley & Paul Haines, ed ĆØ pure l'autore (assieme a Garry Winogrand e Paul McDonough) delle foto stampate nel libretto accluso a quel cofanetto. Non sono sicuro che in seguito abbia fatto ancora foto di carattere musicale ma quelle di Escalator erano molto belle.
Fabio ha detto…
Sei un'enciclopedia vivente Alessandro! E' un disco che non ho mai ascoltato, ma ho visto che e' disponibile, a prezzo pieno purtroppo, su Amazon. Che tra l'altro lo associa a un disco di Davy Graham e sostiene che gli acquirenti di Escalator over the hill hanno anche comprato No pussyfooting (Fripp & Eno), Ah um (Mingus) e Third (Portishead), tutti dischi che ho e ascolto spesso.

Magnifica la foto di Mantler, dal libretto, scattata da Papageorge:

http://farm4.static.flickr.com/3101/2900766176_bc24045ee6_o.jpg.
Anonimo ha detto…
e noi non vediamo l'ora che ci racconti tutto, sarĆ  come sempre un piacere ;) Leggevo il commento di Alessandro pensavo...una delle cose fantastiche degli anni a cavallo fra Sessanta e Settanta ĆØ proprio che musica e fotografia, entrambe alle soglie di una liberazione formale, si corteggiavano a vicenda - credo siano stati, semplificando molto, la moda e gli anni Ottanta a rovinare tutto - ma non tutto ĆØ perduto, se la magnetica attrazione che unisce rock, fotografia e scrittura ci attrae ancora ;-)
Fabio ha detto…
Simon Reynolds in Rip it up and start again fa terminare quel tipo di relazione creativa e libera con la nascita di MTV, che fornisce un mezzo per trasformare i giovani in target pubblicitario. Da quel momento, i modelli nati dal basso iniziano ad essere sfruttati commercialmente con rapidita' crescente e un'attitudine sempre piu' ruthless. Ne conseguira' a breve il pesante ingresso nel mondo della musica rock delle sponsorizzazioni, che hanno dato il colpo di grazia finale. Lo stato agonico nel quale versa la musica inglese da almeno vent'anni parte tutto da li'.

Non tutto e' perduto pero', sono d'accordo con te Marina. I segnali vanno cercati tra mille interferenze, ma realta' indipendenti libere da questi condizionamenti esistono. Mi vengono in mente i suoni dell'altra America (Will Oldham, Joanna Newsom, Sufjan Stevens, Alela Diane, Brightblack Morning Light, Six Organs of Admittance, Matt Valentine & Erika Elder, Howlin Rain), con la loro estetica neofolk, e poi canali di distribuzione coraggiosi come Other Music e Dusty Groove. Il tutto a tenere vivo un rapporto tra linguaggi artistici non compromesso, per fortuna.

Domani se riesco scrivo qualcosa, a questo proposito, sul cinema di Kelly Reichardt, del quale ho anche parlato recentemente con Will Oldham. Magnifico incontro tra linguaggi ed estetiche realmente liberi e indipendenti.

A Giovedi' mattina, allora!
Anonimo ha detto…
Curioso di leggere le tue note sul bellissimo "Wendy & Lucy" visto insieme domenica pomeriggio.

Vado oramai poco al cinema ma quando un film ĆØ cosi' bello, cosi' vero, cosi' infinitamente semplice, sono davvero lieto.
Fabio ha detto…
Credo che tu abbia gia' colto molti punti del film quando parli di verita' e semplicita' Marco. Storie minime, raccontate con un linguaggio vero. Non credo di avere bisogno di altro, quando leggo un libro o vado al cinema. E anche, se possibile, nella vita.

Non so se trovero' dentro di me le parole per commentare un film cosi' commovente, ma ci provero'.