Quarantaquattro piccoli labirinti


E' stata una Londra senza colore quella di questo fine settimana. La pioggia battente, continua di Sabato. Il grigio monocromatico di Domenica. E a donare un po' di luce, la ristampa del mio disco preferito dello scorso decennio, quel Brighten the corners che i Pavement fecero uscire nel 1997, produzione superlativa affidata a Mitch Easter (Murmur, Reckoning).

Disco miracoloso, per me lo zenith assoluto del rock indipendente americano, addirittura superiore nella discografia dei Pavement al capolavoro lo-fi Slanted ed enchanted. Brighten the corners in questa riedizione viene espanso a quarantaquattro tracce, dalle dodici originali, arricchito con le B-sides dei singoli, brani dal vivo, Peel sessions.

L'incipit, Stereo, resta da antologia della garage music di tutti i tempi, Date with IKEA e' piena di significati impliciti che tutti quelli che hanno dovuto arredare una casa con poco conoscono fin troppo bene, Fin e' la piu' tenera e struggente e narcolettica canzone d'amore indie dello scorso decennio, la versione lunga di And then l'unica psichedelia minimalista post Sonic Youth possibile, Westie can drum dramma e isteria ma per finta: non esiste il sentimento della tristezza sul pianeta Pavement.

E Stephen Malkmus, con le sue camicie a tovaglietta e i maglioncini azzurri scollati a V, resta la piu' improbabile rock star di tutti i tempi (dopo il David Byrne fotografato sul retrocopertina di 77).

Da non perdere l'articolo del New Yorker nel libretto della ristampa: sono stati loro a chiamare le canzoni dei Pavement piccoli labirinti.

Pronti? Via, questa e' Stereo:




[Pavement]
[L'articolo del New Yorker]

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