A gentle meditation on belonging, loneliness, family, love and the nature of cultural, sexual and emotional boundaries

Paradoxes, riddles, apocalypses of the mind and heart: this is a tender, funny, insightful, constantly surprising film. - FT Weekend

It's a tribute to Cuaron's control over his material, however, that the major enjoyment of the film comes not from the experiment but its gentle meditation on belonging, loneliness, family, love and the nature of cultural, sexual and emotional boundaries. - Time Out London

Ieri sera, al Renoir mi sono distratto al punto che del film non ricordo gia' piu' assolutamente nulla, e invece mi ronzano ancora in testa i pensieri che i primi dieci minuti del film (poi non sono piu' riuscito a seguirlo) hanno generato.

Il film racconta una storia d'amore platonico un po' francese, di quelle che piacciono a me, solo elaborata in salsa messicana, e se avete letto i due commenti riportati qui sopra ne sapete abbastanza.

Il modo di raccontarla pero' quello si' che e' formidabile. Non si tratta di un vero film, ma di una serie di fotografie montate in modo da costruire una narrativa, con pensieri e parole dei personaggi che si mischiano alle immagini. E continuo cambiamento di lingua, dato che i protagonisti sono messicano, lui, e americana, lei.

Quello che mi ha colpito e' stata la qualita' altalenante delle fotografie usate per costruire la storia. Alcune scattate in fretta, mosse, e in quanto tali vitali come certi sguardi che gettiamo sulle cose mentre il mondo si muove e noi ci viviamo dentro.

E mi e' venuto in mente che quello che dicevo qualche giorno fa a Lophelia tra i commenti di questo blog non ha un gran senso. Perche' non si tratta, per rifarmi a quell'esempio, di fermarsi e riprendere per la centocinquantesima volta la Tate al tramonto, magari facendo l'errore di centrare la foto, cercare la luce e la prospettiva giusta. In quel senso, la citta' appare finita, se riesco a spiegarmi. Perche' stai fotografando, appunto, la citta'. Ma se invece fotografi la vita, quella e' infinitamente fotografabile, per definizione.

Piccolo ulteriore passo verso il ritorno del vecchio titolo di questo blog insomma - magari a Natale, chissa', vedremo. (Perche' tutto quello che leggete qui alla fine e' un regalo che mi arriva da questa citta' e forse sarebbe bello ringraziarla).

Cosi' stamattina ho rispolverato un vecchio Flickr che avevo aperto nel 2005 e lasciato senza cure da allora. E iniziato a dissodare il terreno, mettere a dimora qualche piantina. Sette nuove, senza barare: semplicemente le ultime foto scattate, piu' una che ho ritrovato in archivio. E ho lasciato le piantine che c'erano gia'. Niente di che dal punto di vista tecnico: ma frammenti di vita, che hanno in comune forse solo il fatto di essere stati fermati on the run, senza stare a pensare.

E' l'inizio di un po' di ordine: qui gli scritti, di la' le foto. Magari, di la' non andateci subito pero', aspettate che il giardiniere finisca di sistemare un po', che metta a dimora qualche pianta in piu'.

Mi viene in mente un'intervista a Patti Smith che lessi tempo fa, nella quale Nostra Signora parla del periodo di silenzio tra Wave e Dream of life. E racconta di essersi data come obiettivo quello di scattare una foto ogni giorno, e che ogni sera prima di addormentarsi, ripensava alla sua foto con soddisfazione...

E questo e' il trailer del film che vi dicevo, Ano una, di Jonas Cuaron, figlio di Alfonso Cuaron, il direttore dello straordinario Y tu mama tambien. Fotografato in parte a Citta' del Messico e in parte a New York:

Commenti

ele ha detto…
[ io non ho potuto resistere e ci sono andata subito, di lĆ . chiedo venia ;) ]
Anonimo ha detto…
L'esperimento ĆØ interessante, ma se tutto il film procede a scatti come il trailer, ĆØ facile credere che non sia possibile seguirlo dopo dieci minuti: fa venire il mal di testa. Q.
Fabio ha detto…
Ele -

Grazie per il commento, il primo che ricevo di la', arrivato inaspettatamente e quindi ancora piu' gradito. Salutami il collega A!

Q -

Pero' guarda, e' sperimentale al punto giusto. Molte foto hanno una quotidiana poesia (peraltro l'unica che riesco ad apprezzare).
lophelia ha detto…
fotografare la vita come soggetto inesauribile, anche a me a momenti sembra l'unica cosa da farsi. Poi perĆ² mi prendono le smanie del voler migliorare la tecnica e allora riprendo la reflex e mi prefiggo esercizi quotidiani per perfezionare messa a fuoco ed esposizione.
sintesi e analisi, "anda e rianda" come si dice qui.
Fabio ha detto…
Mah, sai cosa? Credo si chiamino fasi e che il passare dall'una all'altra sia la miglior dimostrazione di esistere...

A me con la musica capita di continuo, e ho smesso di preoccuparmi. Anzi, guarda, mi godo il viaggio... Vediamo dove ci portera' la prossima tappa.

In the meantime: ieri c'era qui Enrico di Firenze, che conosci. E' andato a vedere la mostra della Liebovitz e mi ha detto che e' straordinaria.
lophelia ha detto…
Salutamelo se hai occasione! credo che la mostra sia imperdibile, quando faceva ritratti delle rockstar non mi piaceva molto ma da quando comprai il suo libro Women ho cambiato completamente parere.
Fabio ha detto…
Te lo saluto sicuramente. Continua a dirmi che gli piacerebbe che tu e io ci vedessimo piu' spesso in modo che io capiti dalle vostre parti qualche volta in piu' :)
Anonimo ha detto…
non so..ho un po paura del contenuto di questo film..ti devo cercare su flickr. Hai vistso "Sans soleil" di Chris Marker? Myriam
Fabio ha detto…
Si', e anche La jetee. Questo assomiglia un po' a La jetee in effetti, piu' che a Sans soleil.
Anonimo ha detto…
senza ombra di dubbio..e tutti e due rassomigliano ai fotoromanzi che mia sorella leggeva da giovane. Ma li fanno ancora i fotoromanzi? myriam
Fabio ha detto…
Non credo. Infatti adesso per compensare si leggono e scrivono blog :)
Anonimo ha detto…
mah..dicevo il fotoromanzo come una storia raccontata da delle foto..da wikipedia:
"Il fotoromanzo ĆØ un particolare tipo di fumetto in cui i disegni sono sostituiti da fotografie scattate ad attori su un set simile a quello cinematografico. Per questo spesso il fotoromanzo ĆØ paragonato a un film statico" Myriam